• Il MCI, Mild Cognitive Impairment
  • Medico di base e MCI
  • L’importanza del Neuropsicologo

Il MCI, Mild Cognitive Impairment

L’Italia, è tra i paesi con il più alto indice di vecchiaia al mondo, con un valore pari a 1,83 che equivale a 183 anziani ogni 100 giovani, e osservando le proiezioni demografiche che prevedono nel 2051 ben 280 anziani ogni 100 giovani.

Il MCI o Decadimento Cognitivo lieve (in inglese, Mild Cognitive Impairment) è una sorta di stato di transizione fra l’invecchiamento fisiologico e la demenza, con cui ne condivide i fattori di rischio. La persona con MCI spesso presenta dei vuoti di memoria, problemi nel linguaggio e alcune funzioni operative possono essere deficitarie, ma senza compromettere le normali attività quotidiane. Va anche detto che, la persona con MCI, può rimanere stabile e talvolta può tornare alla normalità, ma è più frequente il suo graduale peggioramento verso la demenza.

La persona che ha superato i 60 anni è più a rischio di MCI, e la frequenza di questo disturbo cresce con l’aumentare dell’età. Quando la persona riceve una diagnosi di MCI, come precedentemente già detto, può rimanere stabile, persino ritornare a una condizione di normalità – la percentuale varia tra il 14,4% e il 55,6%, oppure progredire verso la demenza.

Medico di base e MCI

Per l’individuazione tempestiva del MCI è la possibilità di attuare misure preventive e terapeutiche per ridurre la possibile evoluzione in demenza. In quest’ambito un ruolo chiave spetta al medico di medicina generale (MMG), che conosce il paziente, la sua famiglia e/o i caregiver ed ha quindi la massima possibilità di cogliere i segnali di allarme del disturbo, sia mnesici che comportamentali (ad esempio depressione a esordio tardivo), di individuarlo mediante strumenti idonei e di organizzare approfondimenti diagnostici e interventi terapeutici.

Troppe volte questo non accade, il numero elevato di pazienti da seguire, poca esperienza al riguardo o solamente il pensiero condiviso da molto che “tanto in pò di rimbambimento è normale”, moltissimi non arrivano ad avere la giusta diagnosi e la giusta terapia.

Eppure per individuare la presenza di un disturbo neurocognitivo, il MMG dispone di uno strumento psicometrico, specifico per la Medicina Generale, (MG) di facile e rapida applicazione: il General Practitioner Assessment of Cognition (GPCog) (Fig. 2) 9,10. Attualmente non esistono dati di evidenza che identifichino una terapia farmacologica efficace, specifica del MCI. Considerate queste premesse, è necessario sottolineare che ci sono figure specializzate, preposte a tale diagnosi, che vengono puntualmente ignorate.

Molto della colpa di questo funzionamento, è dato dal meccanismo medico-centrico, dove per ogni disturbo c’è un farmaco che te lo risolve. Cosa che per le funzionalità di tipo psico-corporeo non può essere applicato. Ciò che funziona con la psiche, ha necessità di coinvolgere la psiche stessa, per il processo di guarigione o miglioramento.

Chiaro che, dal MCI non si può “guarire”, tranne alcuni casi di reversibilità, in quanto stato cha ha prognosi ingravescente, nella maggior parte dei casi, non esiste una formula specifica che ha funzione di processo terapeutico, da prescrivere, alla stregua della prescrizione del farmaco.

L’importanza del Neuropsicologo

Per cui, la valutazione del caso specifico è necessaria ai fini di poter dare al paziente, la miglior risposta possibile, che il MMG, non può dare con la sola somministrazione del test …o del MMSE, che non tengono conto di moltissimi altri fattori specifici di quel paziente.

Al medico di medicina generale spetterebbe una prima valutazione del paziente, finalizzata a conoscere la storia clinica (anamnesi) personale e familiare, e valutare il suo stato mentale attraverso un esame obiettivo consistente per MCI. La valutazione completa spetta agli specialisti a con l’ausilio di uno strumento di comprovata affidabilità e validità, come il MoCA, il CPCOG, il 3MS, l’ADAS-Cog, l’MMSE e altri. Il percorso di diagnosi ha anche lo scopo di escludere eventuali cause secondarie come il delirium e la depressione.

Il neuropsicologo è una figura che ha competenza sia in ambito psico-comportamentale, sia in ambito neurologico, per ciò che riguarda anche la valutazione del declino cognitivo. il neuropsicologo clinico possiede competenze concernenti per lo più la neuroanatomia, la neurofisiologia, la neurobiologia, la psicofarmacologia e la neuropatologia, mentre non è specializzato nelle pratiche di intervento psicoterapiche. Inoltre, è solidamente formato riguardo gli aspetti teorici e pratici sottesi ai test neuropsicologici (ad es., Esame Neuropsicologico Breve 2, Wechsler Adult Intelligent Scale o WAIS, Trail Making Test o TMT, etc.), indispensabili per testare i deficit del paziente e porre diagnosi.

Bibliografia

  • Pirani A, Antonelli Incalzi R, Biggio G, et al. L’approccio al paziente con declino cognitivo lieve: risultati di un’indagine in Medicina Generale. Rivista SIMG 2020;27(5):9-18
  • Livingston G, Sommerlad A, Orgeta V, Costafreda SG, Huntley J, Ames D, et al. Dementia prevention, intervention, and care. Lancet (London, England) [Internet]. 2017 Dec 16;390(10113):2673–734. Available from: http://www. ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28735855
  • Healthy Aging Buone pratiche nella prevenzione del Decadimento Cognitivo (MCI) e della Demenza, UPO SoGuD Prevention. Redazione a cura del Gruppo di lavoro UPO SoGuD
  • Umiltà, C. (1999). Manuale di neuroscienze, Bologna, Il Mulino.

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